Cantante e autore di dichiarato impegno civile, il
barcellonese Isaac
(che non disdegna di esibirsi in italiano) sta per
festeggiare ben quarant’anni di carriera. Ne ricordiamo i momenti artistici più
significativi, senza trascurare altri suoi illustri colleghi
di Alberto Bazzurro
La recente uscita del doppio «Piano, piano…» (Discomedi
Blau) di Joan Isaac offre la possibilità di parlare di nova cançó catalana
al di là dello specifico, visto che l’opera ripercorre – da una prospettiva
particolare – trentacinque anni di carriera di Isaac, sessant’anni il settembre
prossimo, lungo venti brani che pescano dalla sua intera discografia, esclusi
curiosamente il primo album («És tard», 1975) e l’ultimo («Em declaro
innocent», 2011).
La singolarità dell’operazione sta nel fatto che le
canzoni sono tutte per pianoforte e voce, con ben dieci pianisti (due brani a
testa), da Enric Colomer a Eros Cristiani. Gli album da cui sono tratte sono
sette, da «Viure» – che nel 1977 (in epoca di resurrezione post
franchista) diede a Isaac la prima fama con A Margalida, di chiaro
impegno civile (che il barcellonese non ha perso) – a «La vida al sol», del
2008. Sei brani vengono da «Planeta silenci», che nel 1998 segnò il
ritorno di Isaac dopo quattordici anni da farmacista (professione esercitata
tuttora in pieno barrio Gotico). Altri cinque arrivano da «De profundis» del
2006. Tra gli episodi migliori: Hivern, Cançó per Isabel, Viure,
Tot és frágil, I passa, passa el temps, On és la gent?, Nits,
A l’estació de França, Cala la nit a San Remo e l’unico inedito, Madame
nicotina.
Con una vocalità calda e partecipe, Isaac percorre i
propri testi, tutti in catalano (se deve deviare, la scelta cade sull’italiano,
tanto che il suo collega Luis Eduardo Aute lo definisce «il più catalano dei
cantautori italiani»), sul sentire dell’individuo, innervati da un’innata vena
melodica. Il più prossimo tra i confratelli catalani appare in tal senso Joan Manuel
Serrat, di dieci anni più anziano, un po’ il capo carismatico della nova
cançó affermatasi a partire dai secondi anni Sessanta (ma Serrat scrive
anche in castigliano). Da noi hanno fatto breccia almeno le sue Mediterraneo
(portata al successo da Gino Paoli), La tieta (cioè Bugiardo e
incosciente nella traduzione un po’ annacquata di Paolo Limiti per Mina,
Dorelli, Vanoni) e La ziatta (nella ben più fedele versione modenese di
Francesco Guccini
in «Ritratti», 2004).
In quarantacinque anni di carriera, Serrat ha inanellato una
serie impressionante di album, tra i quali il doppio dal vivo «En directo» (1984)
e «Mediterraneo» (1971), «Para piel de manzana» (1975), «Tal
com raja» (1980), «Material sensible» (1989, con Kubala,
dedicato all’asso del Barça anni Cinquanta, a ribadire un senso di appartenenza,
che trascende il mero aspetto calcistico, condiviso dallo stesso Isaac,
incallito tifoso blaugrana) e «Versos en la boca» (2002).
Numerose le canzoni in cui Serrat musica la grande poesia, da Machado a Sabina,
da Miguel Hernández all’uruguayano Mario Benedetti, a svariati altri.
Anagraficamente a metà strada tra Serrat e Isaac, Lluís
Llach appare più calato in una ricerca assai capillare sui legami tra
contemporaneità e tradizione popolare (è più musicista, fra l’altro), scrivendo
anch’egli canzoni con testi solo in catalano. Non ancora ventenne, nel 1967
entra negli Els Setze Jutges (fortemente antifranchisti), da cui passano quasi tutti
i più bei nomi della nova cançó alla vigilia delle carriere solistiche:
da Serrat a Pi de la Serra, da Guillermina Motta ai fratelli Joan Ramon e Maria
del Mar Bonet. Llach abbandona le scene nel 2007, dopo un concerto di commiato
nella sua Verges (ne vien fuori «Verges 2007», che va ad affiancarsi a «Camp
del Barça, 6 de juliol de 1985» in cima alla sua produzione).
La scena internazionale si raccoglie a quel punto in un
omaggio all’artista: il doppio «Si véns amb mi», cui partecipano anche
Alessio Lega e Lou Dalfin traducendo due suoi capolavori, Abril 74 (Aprile
’74) e L’estaca (Lo pal, in occitano). Due parole anche su
Quico Pi de la Serra e Maria del Mar Bonet (uniti nel 1979 in «Quico i Maria
del Mar»). Il primo, oggi settantenne, pratica da giovane il jazz (come
chitarrista lo segnano Wes Montgomery e René Thomas, con il quale incide pure, nel 1964, «El home del carrer») e ama
Brassens e la Francia (ricambiato). Come cantautore esordisce nel 1967, collaborando
negli anni con Serrat, Aute, Joaquim Sabina e Paolo Conte. Il suo ultimo cd, «QuicoLabora»
è del 2011.
Maria del Mar Bonet, nativa di Maiorca, approda ventenne,
nel 1967, a Barcellona, dove tutto (o quasi) accade. Sul suo taccuino artistico
figurano i nomi, tra i tanti, di Barbara (di cui incide L’águila negra),
Miró (che nel 1974 illustra il suo terzo lp), Theodorakis (che traduce in
catalano), Moustaki, Amancio Prada. Voce piena, di forte impatto
interpretativo, autrice a sua volta incline al sociale e tenace ripropositrice
di pagine folk maiorchine, nel 2011 ha inciso con Manel Camp, uno dei pianisti
di Isaac, «Blaus de l’ánima», con Lover Man e pezzi vari di
Serrat, Gershwin, Rolling Stones.
Una bella panoramica degli anni cruciali della nova
cançó si trova nel doppio lp collettivo (con ricco apparato
fotograficotestuale) «Dies i hores de la nova cançó», uscito nel 1978 e
oggi merce da collezione o giù di lì.
Musica Jazz novembre 2012
Chanson(g)s