Dopo la fine del regime di Francisco Franco, Lluís Llach prima e Joan Manuel Serrat successivamente, aprirono la strada alla novissima cançó catalana (per differenziarla da quella nata dopo la Guerra Civile): una generazione di cantautori che raccolse in modo straordinario tutte le tensioni sociali, culturali e politiche maturate durante la dittatura. In pochi anni emersero voci come quella di Marina Rossell e autori come Ramón Muntaner, ma soprattutto Joan Isaac, al secolo Joan Vilaplana i Comín, poeta e cantautore dal tratto esistenzialista, la cui ispirazione affondava le radici nei poète maudit e nei surrealisti francesi. Nelle sue canzoni emerge tutta la sua sensibilità nel raccontare la vita e le sue piccole meraviglie, l’amore e il suo bisogno costante da contrapporre all’isolamento di un mondo senza umanità. Nato nel 1953 e laureato in farmacia, giunse al successo con "A Margalida", brano ispirato alla storia di una sua amica, all’epoca fidanzata con il giovane anarchico Salvador Puig Antich, ultimo condannato a morte dello stato spagnolo, che per volere di Francisco Franco fu mandato alla garrota vil, nonostante le pressioni ricevute a livello internazionale. Nonostante il tono intimista e riflessivo, il brano passando di bocca in bocca ricevette un consenso inaspettato, diventando non solo uno dei brani più famosi contro la pena di morte, ma anche il manifesto di un momento storico. Esaurito l’entusiasmo del post-franchismo, e con alle spalle già quattro disco, Joan Isaac si ritirò volontariamente dalle scene, finché nel 1988 grazie all’invito di alcuni giornalisti riprese a cantare e a scrivere canzoni.
Da quel momento la sua attività è diventata via via sempre più intensa con la pubblicazione di ben undici dischi, di cui due doppi (imperdibile è la raccolta “Piano, Piano” del 2012), e la partecipazione a tredici album collettivi, di cui cinque pubblicati in Italia. Proprio con la nostra nazione, il suo rapporto artistico è stato negli anni sempre più intenso a partire dalla sua prima storica esibizione al Festival Victor Jara a Novara, quarant’anni fa. Da portavoce della nostra cultura in terra spagnola, parla fluentemente l’italiano e nel 2015 con il disco “Joies italianes i altres meravelles” ha reso omaggio ala canzone d’autore di casa nostra con le sue traduzioni in catalano di brani di Samuele Bersani, Giorgio Conte, Lucio Dalla, Fabrizio De André, Eugenio Finardi, Vinicio Capossela, Francesco De Gregori e Ivano Fossati. A costellare il suo percorso artistico sono le tante collaborazioni con artisti come Silvio Rodríguez, Joan Manuel Serrat, Lluís Llach, Luis Eduardo Aute, Roberto Vecchioni, Maria del Mar Bonet, Ana Belén, Mauro Pagani, Petra Magoni, e la sua attività di autori per cantanti catalani come Moncho e Dyango. Nel 2017 ha dato alle stampe il pregevole “Manual d’amor” che raccoglie tredici canzoni d’amore di rara bellezza ed intensità. A riguardo nel presentare il disco, racconta: “Scrivere e cantare l’amore non è facile. L’amore è una sensazione potente che governa la nostra vita sin da quando siamo nati fino a morire. Spesso l’amore è associato a innamorarsi, ma è molto di più. È una sensazione meravigliosa che ci può dare la suprema felicità, ma può anche essere dolorosa e distruttiva.
Queste tredici canzoni parlano di amore nel senso più ampio della parola: Amore per persone, idee, sogni, paesaggi, utopia … Amore, decisamente, la magia della sensazione. Vivi e prendi ogni secondo in questo misterioso traffico che è la vita. Ogni canzone condensa una storia vissuta o immaginata, ogni canzone ha un volto e un nome che accompagna o abita nella mia memoria. Scrivere l’amore non è facile, è semplicemente necessario”. In occasione del breve andato in scena in Italia lo scorso dicembre, è è stato ospite di Radio Gold, all’interno del programma “Amici Miei” condotto da Sandrino Marenco, per parlare di se, della sua musica, e del suo amore per la canzone d’autore italiana. (Salvatore Esposito)
Puoi raccontarci il suo percorso artistico?
Vengo dalla Catalogna, un paese di cui per fortuna, o sfortuna, si sta parlando molto in questi mesi. Sono un cantautore catalano, ho fatto più di venti dischi a mio nome, più altri in collaborazione con altri artisti, e rappresento un movimento di cantautori molto importante, la canzone catalana, movimento costituito da autori di diverse generazioni che hanno usato la canzone per difendere non solo una cultura e una lingua propria, ma anche una maniera di vedere la vita, il senso di appartenenza ad un territorio concreto, ad un posto, ad un paesaggio.
Questo vuol dire che la tua canzone è una “canzone sociale”?
No, io non sono un cantautore “sociale”, anzi, molte volte mi hanno detto che sono un cantante intimista. Ma il fatto di cantare in catalano invece che in castigliano o spagnolo, è già una posizione importante di difesa di una coltura non minore, ma minorizzata dallo Stato spagnolo. La nostra lingua è stata proibita durante il franchismo e la nostra cultura è stata censurata dal fascismo. Con la democrazia abbiamo avuto il riconoscimento dell’autonomia della nostra regione, ma ora inizia a crollare un po’. Abbiamo avuto una rivendicazione di indipendenza, ma in realtà non è un problema di indipendenza ma di democrazia, di potersi esprimere votando. Avrete visto tutti le immagini dei cittadini picchiati mentre andavano a fare una cosa così democratica e pacifica come mettere un voto dentro un’urna.
Tu ami molto la canzone d’autore italiana, tanto da averla portata nel tuo mondo, traducendo molti cantautori italiani in catalano.
Si, gli amici del Club Tenco, con i quali ho fatto amicizia tanti anni fa, dicono che sono l’ambasciatore della canzone d’autore italiana in Catalogna e in Spagna. Io ho sposato un’italiana tanti anni fa, e tramite lei ho conosciuto la musica italiana, che allora non conoscevo. Ho cominciato ad ascoltare Dalla, De Gregori, De André, Vecchioni, e mi hanno impressionato molto. Io ero molto amante della canzone francese, ma da quando ho scoperto il cantautorato italiano, mi sono reso conto che era un mondo bellissimo.
Mi considero un difensore della canzone d’autore italiana, ho partecipato sei volte al Club Tenco, ho collaborato con mauro Pagani, Roberto Vecchioni e tanti altri.
Nelle tue versioni in catalano dei nostri cantautori, è interessante notare come riesci a mantenere la struttura della canzone, dandole però la tua impronta.
Qualcuno dice che “tradurre è tradire”, ma io credo che se si fa con rigore, è un esercizio molto interessante portare la canzone da una lingua all’altra, due lingue che fanno parte della mia vita sentimentale e musicale.
C’è un cantautore italiano che ti ha colpito ed emozionato particolarmente?
Sono due i cantautori italiani che mi emozionano di più, Paolo Conte e Francesco De Gregori, sono molto vicino al suo mondo, ma anche a quello di Dalla, tanti hanno delle grandi canzoni. Ho scoperto l’opera di Fossati, che trovo meraviglioso. Sono interessato a questa musica perché mi prende il cuore. Quando ascolto la musica italiana, sento il sole dentro di me. E’ curioso, perché dal confine spagnolo e catalano a quello italiano a Ventimiglia ci sono ottocento chilometri, e la musica italiana che è arrivata in Spagna è sempre quella solita musica che chiamiamo “commerciale”, sono arrivati Ramazzotti e la Pausini, ultimamente è arrivato Paolo Conte, ma i cantautori sono conosciuti da pochi anni, e farli conoscere è il mio impegno.
Tu sei in questi giorni in tour in Italia anche per presentare il tuo nuovo disco, un lavoro dedicato all’amore.
In apertura faremo cinque brani italiani tradotti da me, canzoni che fanno parte della mia vita e che mi commuovono sempre, perché mi ricordano di persone e luoghi che sono stati importanti nella mia vita, e poi presenterò il mio repertorio, dai dischi più vecchi all’ultimo, Manuale d’amore.
Come si fa a trasmettere queste emozioni con una canzone, come fate a parlare al cuore degli ascoltatori?
Non lo so, è un’energia particolare che o ce l’hai o non ce l’hai. Io ho sempre pensato che un musicista o un cantante, può essere tecnicamente perfetto, raffinato, musicalmente perfetto, ma l’arte non ha un valore generale se non quello dell’emozione, che puoi trasmettere agli ascoltatori. E questo sul palcoscenico si sente molto. Non concepisco l’arte se non riesce a trasmettere emozioni. Ci sono cantanti che magari cantano male, ma che trasmettono un’emozione fortissima, e altri che cantano benissimo e ti lasciano indifferente. Questa cosa non si impara a scuola, o ce l’hai o non ce l’hai.
Hai deciso di aprire il tour italiano ad Alessandria….
Si, sono molto contento di essere ad Alessandria per la prima volta, ho ritrovato con piacere molti amici che vedo da tanti anni al Tenco. Quando abbiamo costruito questo tour, ho subito pensato a contattare Ezio Poli, il gestore dell’Isola Ritrovata di Alessandria, perché volevo cantare in questo locale.
Chi sono i musicisti che ti accompagnano in questo tour?
Sono dei musicisti straordinari, uno me lo sono portato dalla Catalogna, Antoni Olaf Sabater al pianoforte, e due sono di qui, due amici che hanno già suonato con me a Barcellona, Walter Porro a fisarmonica e pianoforte, e Claudio Rossi al violino e chitarra. Sono tre grandi musicisti ma soprattutto tre grandi persone, e queste sono due qualità che di solito vanno insieme.
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